I tedeschi e la rivoluzione by Heinrich August Winkler

I tedeschi e la rivoluzione by Heinrich August Winkler

autore:Heinrich August Winkler [Winkler, Heinrich August]
La lingua: ita
Format: epub
editore: DONZELLI EDITORE


II

Dalle elezioni per l’Assemblea nazionale costituente i socialdemocratici maggioritari uscirono vincitori con il 37,9 per cento dei voti, risultando il partito largamente più forte. Non ci fu però nessuna maggioranza socialista: i socialdemocratici indipendenti raggiunsero appena il 7,6 per cento. Tra i partiti borghesi, i risultati migliori furono conseguiti dalle due formazioni cattoliche, il Zentrum e il Partito popolare bavarese (Bayerische Volkspartei), con il 19,7 per cento dei suffragi, e dai liberali di sinistra del Partito democratico tedesco (Deutsche Demokratische Partei, DDP) con il 18,5 per cento. Alla destra andò circa un settimo dei consensi: il Partito popolare tedesco-nazionale (Deutschnationale Volkspartei, DNVP), erede dei conservatori e dei partiti antisemiti del Kaiserreich, ottenne il 10,3 per cento, il Partito popolare tedesco (Deutsche Volkspartei, DVP), ossia il vecchio partito nazional-liberale, il 4,4 per cento. Chi osteggiava fermamente la Repubblica o caldeggiava il ritorno alla monarchia aveva votato, nel dubbio, per i tedesco-nazionali, che godevano dei maggiori consensi nelle zone rurali della Germania settentrionale fedeli alla Chiesa evangelica, in particolare in Oltrelba.

Dopo le esperienze delle ultime settimane, era per così dire nell’aria una rinnovata collaborazione fra i «partiti maggioritari» del vecchio Reichstag, la MSPD, il Zentrum e i liberali di sinistra, i partiti della risoluzione di pace del luglio 1917. A lasciarlo pensare era soprattutto la convinzione che non si potesse prendere seriamente in considerazione una democrazia parlamentare in Germania senza un’azione concertata delle forze moderate presenti nella classe lavoratrice e nella borghesia. Per i socialdemocratici maggioritari la decisione di formare un governo di centro-sinistra fu agevolata dal fatto che, con la scissione del 1917, dal partito-madre erano usciti non soltanto gli oppositori dei crediti di guerra, ma anche gran parte dei marxisti ortodossi. Guardandola in questa ottica, la frattura che si produsse nel movimento operaio socialdemocratico non fu solo una tara, ma anche un presupposto della prima democrazia tedesca.

Il 6 febbraio 1919, l’Assemblea nazionale costituente si riunì per la seduta inaugurale in una Weimar all’epoca ancora tranquilla. La sua prima decisione importante fu l’approvazione di una bozza di Costituzione provvisoria redatta dal segretario di Stato agli Interni Hugo Preuß, liberale di sinistra. L’indomani fu eletto presidente temporaneo del Reich Friedrich Ebert, co-segretario della MSPD, il quale a sua volta, quello stesso giorno, scelse l’altro segretario del suo partito, Philipp Scheidemann, come primo ministro. Il 13 febbraio quest’ultimo costituì un governo di coalizione formato da MSPD, DDP e Zentrum.

Dal punto di vista formale, cominciò così la fase evolutiva del rivolgimento dello Stato tedesco. Ma i disordini rivoluzionari erano tutt’altro che finiti. All’insurrezione berlinese di gennaio seguirono, tra il febbraio e il maggio del 1919, i grandi scioperi nella Ruhr e nelle zone industriali della Germania centrale, le due Repubbliche dei consigli a Monaco, con la prima – scaturita dall’uccisione del primo ministro bavarese, Kurt Eisner della USPD, da parte di un radicale di destra il 21 febbraio – che fu dominata dai socialdemocratici indipendenti e dagli anarchici, la seconda dai comunisti.

Gli scioperi berlinesi del marzo 1919 furono repressi con particolare durezza. Iniziati sotto forma di sciopero generale, all’ultima fase parteciparono quasi soltanto i comunisti.



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